“Mitogenesi di Cincio Ciancio” di Pee Gee Daniel

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Era stato il Mago Parsi a diffondere per primo, tra i fenomeni da baracconi al libro-paga del Korallo’s Circus, la lieta novella di Cincio Ciancio.

Si trattava di un artista di passo, che aveva chiesto ospitalità presso di loro per breve tempo. Non era sotto contratto con nessuno. Amava cambiare sovente, con chiunque gli offrisse asilo.

Era un esperto di prestidigitazione, un bravo mestierante in giochi di carte, con piccoli animali e simili e non disdegnava qualche bel numero di macromagia, quando le risorse e gli spazi lo consentissero. Anche se, ogni qual volta qualcuno si rivolgesse a lui usando il titolo di prestigiatore, Parsi, chissà perché, ci teneva a precisare: «Mago!» con quella sua voce profonda e vagamente inquinata da un accento orientaleggiante.

Il Mago Parsi si vestiva con un frac nero sempre ineccepibilmente stirato e inamidato, mentre sui capelli scurissimi portava un turbante tenuto stretto da un raggiante diadema. Portava barba e baffi annodati a carta di caramella al di sotto del mento e, alle estremità, lunghe pantofole dorate dalla punta arricciata, ma coperte da un paio di ghette occidentali.

Lo aiutava, fuori e sulle scene, una donna minuta e scura di carnagione quanto lui, che risultava essere sua moglie, oltreché sua assistente.

Appena si presentarono, il nano Meatball, del suo solito, provò ad attaccarci bottone con battute un po’ grevi sulla danza del ventre o giù di lì. Parsi lo informò tempestivamente: «Mia moglie è muta dalla nascita.»

A Meatball erano brillati gli occhietti e, con la sua lingua svelta, gli replicò: «E, dica… ha anche altre virtù?»

Il Mago Parsi spostò lentamente i suoi grandi occhi scuri sul piccoletto e, articolando con metodo le parole, rispose: «Sì, è anche orfana!»

Meatball allora tacque e girò i tacchi. Da quel momento in poi non osò mai più tentare di fronteggiare a battute l’illusionista perché, con tutti i difetti che il nano poteva avere, almeno un comandamento lo seguiva sempre con scrupolo: Ubi major, minor cessat

Il Mago Parsi riusciva a materializzare candide colombe, piccoli roditori albini, candele accese, palle da bowling e monocicli. Sapeva far diluviare o grandinare a suo piacere. Sapeva infilare un cristiano in un tritacarne per poi farlo ricomparire da una botola ancora integro e in piena coscienza. Era capace di levitare a un metro e mezzo dal terreno. Ingoiava fuoco e spade. Ipnotizzava intere platee, piegandole ai suoi più irrispettosi capricci. Anche se tutto questo qua non conta. Quel che ci importa ora è il suo ruolo nella storia di Cincio Ciancio.

Fu proprio lui ad annunciarne l’esistenza. La prima ad approcciare fu la Donna Cannone. Non sarà stato un caso se scelse quale primissimo proselito proprio colei che, i pochi momenti della giornata che riuscisse a trascorrere in piena lucidità, li spendeva a scorrere passi scelti a casaccio dal Nuovo Testamento (lettura che, peraltro, oltre al conforto dell’anima, sembrava favorirle un sonno particolarmente sodo e gustoso).

Quel giorno il Mago Parsi le passò affianco, mentre Missis Wakovski era tutta intenta a leggere, muovendo le labbra e tenendo il segno con il dito, Matteo circa moltiplicazione dei pani e dei pesci. Quella parte doveva risultarle decisamente suggestiva, a considerare da come la signora seguiva e pareva rivivere lo straordinario prodigio, umettandosi di quando in quando le labbra con la punta della lingua, a occhi sognanti, nell’immaginarsi chissà quale evento miracolistico che anche in omaggio al di lei insaziabile appetito riuscisse a far ricomparire nel piatto ogni vivanda appena consumata magari per dieci volte la quantità di partenza.

«Certo, Gesù era un graaande illusionista,» si lasciò sfuggire, mentre le passava vicino, «Il più grande di tutti, potrei anche sbilanciarmi. Ma se si vuol trovare il vero divinatore, quello che non opera trucchi, ma effettivi cambiamenti alla natura delle cose, beh, quello è solo ed esclusivamente… Cincio Ciancio!»

Dopo una tale affermazione filò via, lasciando la grassa ascoltatrice a bocca aperta e a palpebre socchiuse.

Solo nei giorni seguenti, rintuzzato dai vari freaks, tra cui la spifferata si era ormai diffusa, si decise ad aggiungere qualche dettaglio, mantenendosi sulle prime laconico e sfuggente: «Mai sentito parlare prima di Cincio Ciancio? Cincio Ciancio è il salvatore di tutti i freaks. Cincio Ciancio verrà a salvare tutti voi da questo cattivo mondo, per portarvi in un luogo in cui sarete visti come tanti angeli e fate. Ma sceglierà unicamente chi a lui crede, con testa e con cuore.»

Nei giorni successivi aggiunse sempre più pennellate al quadro d’insieme in cambio, di volta in volta, di una fetta di torta alle mele appena sfornata dalle siamesi o di un bicchiere di liquore di patate messe al macero dalle focomeliche amorevoli manine di Waldo “l’Uomo Tricheco”, dalla gradazione alcolica appena un pelo sotto la settantina.

Quel che fu certo, in ultima istanza, per l’uditorio era il fatto che Cincio Ciancio fosse un essere fuori dal comune. Enorme, dotato di una forza sovrumana, intimamente buono ma altresì violentemente avverso a soprusi e ingiustizie. Si capì che era prossimo il giorno in cui sarebbe sceso a raccogliere i suoi figli sfortunati per portarli con sé nel suo regno bagnato dal miele e dall’ambrosia, ma, quanto al resto, fu difficile addivenire ad un identikit incontrovertibile, anche perché la maggior parte delle volte Parsi parlava a spizzichi e bocconi, talvolta suggerendo particolari tutti diversi e incongruenti, in palese contraddizione con quelli riferiti magari poche ore prima.

Per giunta, quasi mai i ragazzi di Korallo si trovavano tutti insieme e il Mago Parsi si vedeva perciò costretto a predicare loro alla spicciolata: prima a un gruppetto, poi a un altro, infine a un terzo ancora, che quando poi, a notte fatta, si riunivano per mettere insieme tutti i tasselli della mosaica, non era raro che i diversi racconti non combaciassero. Se poi si aggiunge la naturale tendenza dell’immaginazione umana a lavorare in proprio, arricchire e azzimare quel che le è stato dato in consegna, si intuirà facilmente la confusionaria culla in cui cubò e prese forma la leggenda di Cincio Ciancio e l’attesa messianica che da essa di conseguenza scaturì.

«Dove hai saputo dell’esistenza di Cincio Ciancio e da chi?» lo rimbeccavano.

E Parsi, serafico: «Me ne parlò per primo un prozio, nato con la spina dorsale più ritorta di un tralcio di vite. Quando lo andavo a recuperare dalle strade polverose che batteva elemosinando per lavoro e gli applicavo le spugnature, all’ora del tramonto, per ripulire il suo corpo disgraziato, mi raccontava del vicino avvento di Cincio Ciancio, che avrebbe presto liberato lui e tutti quelli come lui, “gli eletti di Cincio Ciancio” li chiamava, recandoli alla terra promessa dei nati male.

Ne sentii parlare ancora nei miei viaggi. A Bilbao un cieco dagli occhi spalancati e albuginei mi confermò che l’attesa stava per concludersi. Ancora qui, sul suolo americano, un capo Cherokee, il cui primogenito era venuto al mondo senza braccia né gambe, e al quale avevano perciò conferito l’appellativo tribale di Tronco Ridente, mi diceva di vegliare ogni notte di plenilunio, aspettando l’arrivo di Cincio Ciancio tra le cui poderose braccia avrebbe dato in consegna il pargolo, perché la santa creatura restituisse all’infelice una abbondante letizia.»

«Ma come fai a dire che i tempi sono vicini?» gli domandavano ancora.

«I tempi si sono volti contro quel mondo che vi ha sempre disprezzati. I loro soldi valgono meno della carta straccia. Il loro potere si affievolisce, si sgretola come una costruzione piantata sulla friabile rena. Quelli che si dicono normali si sono scoperti vulnerabili e soli. Questo è il segno che il vento si sta girando. Questo è il segnale inoppugnabile che l’era di Cincio Ciancio sta per scalzare ogni eone precedente. Abbiate fede in lui e sarete salvati. Vale ora come quando fu scritto.»

E i freaks del Korallo’s Circus lì, stretti intorno a lui, a bocca aperta, i lucciconi agli occhi, il cuore imbottito di una nuova speranza: «Quando verrà a prenderci?»

«In verità, in verità io vi dico e sottoscrivo che i tempi sono maturi!»

Prima di ripartire insieme alla moglie, salendo in corsa su un treno per Pasadena, il Mago Parsi – era una rifulgente mattinata di marzo – per salutarli nel migliore dei modi, volle dare loro l’unica testimonianza fisica che quel manipolo di sfortunati avrebbe conservato, con la medesima cura che altri credenti e in altri tempi dedicarono alla preservazione di stinchi di santo o prepuzi del Salvatore, durante i mesi a venire.

Si trattava di una cornicetta chiara sotto il cui vetro era fissata l’immagine a stampa di una figura svettante tra alberi e palazzi, il volto pieno e gioioso, le forti braccia  messe a croce sul ventre prominente, gli occhi chiari e luminosi, per quel che era ancora permesso poteva capire dall’avanzato logorio della carta. Sopra, scritto a carboncino con lettere stentate, si poteva leggere:

 CINCIO CIANCIO THE SAVIOR

«Tenetevelo stretto,» si raccomandò Parsi dal carretto che stava portando lui e consorte sino alle pensiline della stazione, «Quello è l’unico ritratto autorizzato di Cincio Ciancio che ci rimanga!» diceva loro, sbracciandosi nel saluto, e sembrava che soffocasse a stento una risata, così come la moglie, seduta sulla panchetta accanto a lui. I ragazzi di Korallo attribuirono quelle smorfie alle solite strane usanze da forestieri, ringraziarono, fecero la riverenza, corsero a nascondere il quadretto in uno scrigno placcato oro che uno zingaro aveva venduto una volta per buono a Mister Waldo Walrus, chiudendocelo dentro a tripla mandata.

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